Prima di tutto: dici “da un punto di vista strettamente grammaticale”, ma la grammatica qui non c'entra molto (la grammatica riguarderebbe, per esempio, se usare “fanno” o “facciano” o cos'altro): è una questione di lessico.
Entrando nel merito, il verbo “fare” ha un senso così generico che va bene quasi ovunque. Per esempio, la prima definizione che ne dà il vocabolario Treccani, prima di passare ad accezioni più specifiche, è proprio:
Verbo di sign. generico: può esprimere qualsiasi azione, materiale o no, specificata meglio dal complemento: f. un passo, un gesto, un movimento, un salto, una risata, un urlo, un sospiro, uno sbadiglio, un lamento; f. una buona azione, un lavoro, un progetto, un vóto; f. un pensiero, un sogno; f. uno scherzo a qualcuno; f. il solletico. Con sign. anche più ampio: non so che f. stasera; che cosa fai lì tutto solo?
E, più avanti, anche: “Compiere, eseguire, attuare: f. un balletto, una scoperta, un’invenzione, un ritrovamento, un esame; f. una guerra.” Quindi è difficile che ci sia qualcosa, da un pensiero a una guerra, che non si possa fare. E empiricamente, visto che – in prima approssimazione – una lingua è data dal modo in cui la usano i parlanti, puoi vedere che espressioni come “cosa fanno stasera in tv” suonano normalissime e sono molto diffuse (con migliaia di risultati su Google, per quel che vale).
Altro discorso è quello dei registri linguistici, come accenni tu stesso menzionando il fatto che “fare” è qui usato in modo colloquiale. In un italiano più formale, più ricercato, non è desiderabile usare troppo spesso termini generici come appunto “fare” o “cosa”, e si può preferire l'uso di termini specifici come, nel caso in questione, “trasmettere”.