Batterio ambientale si è evoluto per diventare mortale: l'allarme dei medici. Cosa sappiamo

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Lo Pseudomonas aeruginosa, un batterio ambientale che può causare devastanti infezioni multiresistenti ai farmaci, in particolare nelle persone con patologie polmonari di base, si è evoluto rapidamente e poi diffuso a livello globale negli ultimi 200 anni, probabilmente a causa di cambiamenti nel comportamento umano.


Lo ha rivelato un nuovo studio condotto da un gruppo internazionale guidato da scienziati dell’Università di Cambridge, riportato su Science. La P. aeruginosa è responsabile di oltre 500.000 decessi all’anno in tutto il mondo, di cui oltre 300.000 sono associati alla resistenza antimicrobica, o AMR. Le persone affette da patologie come la BPCO, danni polmonari legati al fumo, la fibrosi cistica, FC, e le bronchiectasie non FC sono particolarmente suscettibili. In precedenza, non si sapeva come P. aeruginosa si fosse evoluto da organismo ambientale a patogeno umano specializzato.

Per indagare su questo aspetto, ha esaminato i dati sul DNA di quasi 10.000 campioni prelevati da individui, animali e ambienti infetti in tutto il mondo. Mappando i dati, il gruppo di ricerca è stato in grado di creare alberi filogenetici, ovvero “alberi genealogici”, che mostrano come i batteri provenienti dai campioni siano correlati tra loro. Gli scienziati hanno scoperto che quasi sette infezioni su dieci sono causate da soli 21 cloni genetici, o “rami” dell’albero genealogico, che si sono rapidamente evoluti acquisendo nuovi geni da batteri vicini e poi diffusi a livello globale negli ultimi 200 anni.

Questa propagazione si è verificata molto probabilmente come conseguenza del fatto che le persone hanno iniziato a vivere in aree densamente popolate, dove l’inquinamento atmosferico rendeva i nostri polmoni più suscettibili alle infezioni e dove c’erano più opportunità di diffusione delle infezioni. Questi cloni epidemici hanno una preferenza intrinseca per l’infezione di particolari tipi di pazienti, alcuni dei quali prediligono i pazienti affetti da FC e altri non affetti da FC.

È emerso che i batteri possono sfruttare un difetto immunitario precedentemente sconosciuto nelle persone affette da FC, consentendo loro di sopravvivere all’interno dei macrofagi. I macrofagi sono cellule che “mangiano” gli organismi invasori, disgregandoli e impedendo all’infezione di diffondersi. Ma, un difetto finora sconosciuto del sistema immunitario dei pazienti affetti da FC fa sì che, una volta che il macrofago “inghiotte” la P. aeruginosa, non sia in grado di liberarsene.

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Dopo aver infettato i polmoni, questi batteri si evolvono in modi diversi per diventare ancora più specializzati per un particolare ambiente polmonare. Il risultato è che alcuni cloni possono essere trasmessi all’interno dei pazienti con FC e altri cloni all’interno dei pazienti non FC, ma quasi mai tra gruppi di pazienti FC e non FC.

“La nostra ricerca sullo Pseudomonas ci ha insegnato nuove cose sulla biologia della fibrosi cistica e ci ha rivelato importanti modi in cui potremmo essere in grado di migliorare l’immunità contro i batteri invasori in questa e potenzialmente in altre condizioni”, ha detto Andres Floto, direttore dell’UK Cystic Fibrosis Innovation Hub presso l’Università di Cambridge e il Royal Papworth Hospital NHS Foundation Trust, e autore senior dello studio.

“Da un punto di vista clinico, questo studio ha rivelato importanti informazioni sullo Pseudomonas”, ha continuato Floto. “L’attenzione si è sempre concentrata sulla facilità con cui questa infezione può diffondersi tra i pazienti affetti da FC, ma abbiamo dimostrato che può colpire con preoccupante facilità anche altri pazienti”, ha affermato Floto. “Questo ha conseguenze molto importanti per il controllo delle infezioni negli ospedali, dove non è raro che un individuo infetto si trovi in un reparto aperto con qualcuno potenzialmente molto vulnerabile”, ha proseguito Floto.

“Siamo incredibilmente fortunati al Royal Papworth Hospital, dove abbiamo camere singole e abbiamo sviluppato e valutato un nuovo sistema di trattamento dell’aria per ridurre la quantità di batteri trasportati dall’aria e proteggere tutti i pazienti”, ha osservato Floto. “È notevole vedere la velocità con cui questi batteri si evolvono e possono diventare epidemici e come possono specializzarsi per un particolare ambiente polmonare”, ha aggiunto Aaron Weimann del Victor Phillip Dahdaleh Heart & Lung Research Institute dell’Università di Cambridge e primo autore dello studio. “Abbiamo davvero bisogno di uno screening sistematico e proattivo di tutti i gruppi di pazienti a rischio per individuare e, auspicabilmente, prevenire la comparsa di altri cloni epidemici”, ha concluso Weimann.

(upday con Agi)

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