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Chi governa perde, anche nel gruppo di Visegrad

Anche per i Paesi di quello che una volta era il Gruppo di Visegrad – e che oggi s’è piuttosto ridotto a un asse Ungheria-Slovacchia –, vale la regola quasi universale di queste elezioni europee 2024: i partiti di governo escono malconci, l’opposizione alza il gran pavese. La democrazia illiberale non gode più di ottima salute lungo il Danubio, ma i suoi adepti hanno il vento in poppa altrove nell’Ue. L’eccezione, in questo quadro, è la Polonia, dove la coalizione di Donald Tusk, meno di otto mesi dopo le politiche, rivince, accrescendo il peso dei popolari nell’Assemblea di Strasburgo e togliendo seggi al gruppo dei conservatori.

I risultati deludono i leader governativi

In Ungheria, il partito del premier Viktor Orbán, Fidesz, è ancora primo con quasi il 44% dei voti, ma perde circa 8 punti rispetto al 2019. Fa, invece, incetta di suffragi Tisza, il partito animato dell’ex dirigente di Fidesz Peter Magyar, divenuto nel giro di poche settimane l’astro nascente dell’opposizione magiara. Tisza va oltre il 31% dei consensi. I due drappelli di eurodeputati ungheresi – 21 in tutto – costituiscono un fattore della ridefinizione dei rapporti di forza fra i gruppi nell’emiciclo di Strasburgo: quelli di Fidesz, in cerca di collocazione dopo l’uscita del Ppe, si ‘annusano’ con i conservatori; quelli di Tisza potrebbero finire nel Ppe e colmare in parte il vuoto di Fidesz.

In Slovacchia, 15 seggi, il partito d’opposizione Slovacchia Progressista s’impone con quasi il 28% dei voti (6 seggi), mentre lo Smer-Sd del premier Robert Fico arriva secondo con meno del 25% (e 5 seggi). L’attentato di cui è stato vittima in maggio il premier non ha innescato un ‘effetto Fico’. Nell’Assemblea europea entrano pure due esponenti del terzo partito, la Repubblica. E un seggio ciascuno ottengono il partito del neo-presidente Peter Pellegrini e i cristiano-democratici. Restano fuori, sotto il 2%, i nazionalisti del Partito nazionale slovacco (Sns, al governo) di Andrej Danko. L’affluenza alle urne ha superato il 34%: è poco, ma è la più alta mai registrata nelle europee. Cinque anni or sono, l’affluenza aveva di poco superato il 22%.

Nella Repubblica Ceca, 21 seggi, il movimento populista Ano (Azione del cittadino scontento) dell’ex premier Andrej Babis ha vinto con il 28%, due punti avanti alla coalizione governativa Spolu (Insieme). Spolu è formata da tre partiti: civici democratici, Top 09 e cristiano-democratici. L’affluenza è stata superiore al 40%. Ano e Spolu si spartiscono i due terzi dei seggi disponibili. Gli altri sono frammentati fra diverse forze politiche minori.

In Polonia, 52 seggi, la Coalizione civica (Ko) filo-europea del premier Donald Tusk ha ottenuto oltre il 37% dei voti, superando i sovranisti del partito Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski, sostenuto da oltre il 36% degli elettori. Il successo di Tusk rafforza i popolari a Strasburgo; il calo, rispetto a cinque anni fa, di Kaczynski indebolisce i conservatori. L’affluenza è stata superiore al 40%. Il terzo partito è stato l’euroscettico Confederazione, sopra il 12%, seguito dal Partito dei Contadini quasi al 7% e dalla sinistra sopra il 6%.

Troppi veti: Orbán in rotta di collisione con i B9

Sugli ex Visegrad Ungheria e Slovacchia, i più filo-russi dei 27, oltre che nuvole europee, si addensano nubi atlantiche. L’Ungheria, in particolare, potrebbe essere esclusa dal gruppo dei Nove di Bucarest (B9), Paesi della Nato e dell’Europa centro-orientale. Scrive il Financial Times, citando fonti diplomatiche, che i continui veti di Budapest, non solo in sede Ue, ma anche alla Nato, avrebbero fatto “esaurire la pazienza a molti partner”.

Fondato nel 2015, il gruppo – Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria – comprende Paesi ex membri dell’Unione Sovietica (i tre baltici) o del Patto di Varsavia e ora membri della Nato e dell’Ue. I loro leader si riuniscono regolarmente e coordinano il loro approccio alle politiche di sicurezza, in particolare per quanto riguarda la difesa dei confini orientali. Il loro ruolo ha acquisito particolare importanza dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Negli ultimi incontri, scrive il Financial Times, Budapest ha posto il veto a conclusioni sull’aumento degli aiuti all’Ucraina e su qualsiasi iniziativa Nato per rafforzare il sostegno militare a Kyiv o accelerare il processo di ingresso nella Nato. Così come l’Ungheria – che il primo luglio dovrebbe assumere per un semestre la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue – frena i negoziati sull’adesione dell’Ucraina all’Unione. Questa settimana, Orbán ha disertato il Vertice del B9 a Riga, rifiutandosi di sottoscrivere una bozza di dichiarazione congiunta. Il premier ungherese dà l’impressione di tirare la corda con partner e alleati e il risultato delle europee lascia intendere che anche i suoi connazionali si stiano ponendo interrogativi in merito.

(Questo articolo è pubblicato su AffarInternazionali)

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