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Istituto Affari Internazionali

Una sovranità federale per salvare l’economia dell'Europa (di M. Baldassarri)

(di Mario Baldassarri)

All’inizio degli anni Duemila, il Pil mondiale era ripartito per circa il 25% in ognuno dei quattro grandi continenti. Già allora, però, si poteva intuire che nel 2030 il 50% del Pil sarebbe stato prodotto in Asia, mentre l’Europa si sarebbe ridotta al 12%, gli Stati Uniti al 15% e gli altri Paesi al 23%. Usa, Cina e India avrebbero pertanto costituito tre poli dominanti. Era anche già evidente che non si poteva governare la globalizzazione con lo specchietto retrovisore, cioè con quel vecchio G7 che riproduceva il peso economico del mondo passato ma che, nel giro di due o tre decenni, sarebbe fortemente cambiato. Per governare la globalizzazione occorreva, quindi, adeguare la governance

Il boom dei Brics e il crollo economico europeo

Accanto al G7, negli ultimi anni, abbiamo assistito all’emergere del G20 che però non ha dimostrato finora una capacità di decisione concreta. Oggi, il rischio è quello di andare verso un mondo con due governance: quella vecchia occidentale e quella che sta ora emergendo dai Brics, in espansione tramite il G20. Per ora, l’unico vantaggio è che da quella parte di mondo non c’è ancora la moneta di riferimento comune: infatti, non può essere il renminbi cinese a fare da valuta internazionale verso l’India o gli altri Paesi.

Proiettando al 2030 le tendenze di crescita in atto all’inizio del secolo, già si poteva osservare che la prima economia del mondo (in valore assoluto di Pil) sarebbe stata la Cina, seguita in ordine da Stati Uniti, India, Giappone e Russia. I 27 Paesi dell’Ue, singolarmente presi, avrebbero visto dissolversi il loro peso relativo. La somma statistica dei loro Pil avrebbe certamente collocato l’economia europea al terzo posto, ma non poteva e non può essere l’Eurostat a riempire l’assenza di un’Europa politicamente e istituzionalmente unitaria. L’Europa deve quindi procedere con una strategia di integrazione a cerchi concentrici.

Una sovranità federale per salvare l’economia dell’Unione

Da più di vent’anni, i singoli Stati nazionali, compresa la potente Germania, non possono più fornire i cinque fondamentali beni pubblici collettivi: difesa, sicurezza e immigrazione, politica estera, grandi reti infrastrutturali con in testa quelle dell’energia, alta ricerca e innovazione tecnologica. Negli ultimi decenni, l’Europa ha tratto prosperità e benessere dal fatto che la sua difesa è pagata dagli americani, l’approvvigionamento energetico è fornito a basso costo dalla Russia e lo sviluppo dei mercati è supportato dalla Cina. Oggi, queste tre condizioni non sussistono più. Poiché i singoli Stati nazionali hanno da tempo perso la loro sovranità, il primo cerchio concentrico non può che essere una Federazione di Stati, mediante cui recuperarla. La sovranità federale sarebbe limitata ai cinque fondamentali beni pubblici collettivi, mentre il resto rimarrebbe sotto il controllo degli Stati nazionali. Pertanto, non si tratta tanto di cedere sovranità, quanto di riconquistarla: quella nazionale, infatti, è persa per sempre. Il nucleo naturale di partenza sarebbe l’Europa dell’euro. Tuttavia, così si rischia di non partire mai. Si potrebbe allora iniziare con chi ci sta: poiché Francia, Germania, Italia e Spagna fanno insieme il 70% dell’Europa – in termini di popolazione, di Pil, di occupazione – si potrebbe cominciare da loro, per poi lasciare le porte aperte a tutti gli altri. 

Per fare ciò, ci sarebbe anche un esempio e un’occasione: a fronte della pandemia Covid, infatti, l’Europa è riuscita a varare il NextGenerationEU (NGEU) che, da transitorio e a scadenza 2026, oggi può e deve diventare permanente. Il bilancio ordinario dell’Ue vale l’1,5% del Pil che, sommato al NGEU provvisorio e suddiviso in sei anni, arriva a meno del 3%: questo potrebbe essere l’embrione di un bilancio federale europeo. Negli Usa il bilancio federale è pari al 25% del Pil: in percentuale c’è, dunque, una bella differenza. Tuttavia inserendo quei cinque beni pubblici nel bilancio federale dell’Unione non si sta proponendo una rivoluzione, bensì un necessario e ineluttabile adeguamento arrivando al 7-8%. Ovviamente il bilancio federale deve avere entrate proprie e debito comune: per avviare seriamente le transizioni ambientale ed energetica e per la difesa e sicurezza comuni occorrono trilioni di euro. Senza un bilancio federale gli obiettivi che l’Europa si è data restano senza strumenti, quindi poco più che auspici.

Tra allargamento a est e cooperazione con l’Africa

Il secondo cerchio è l’Ue a 27 Stati o più, ma il processo di allargamento diventa perseguibile solo se si realizza il primo cerchio. Infatti, non si può fare allargamento senza approfondimento istituzionale: con solo il primo si costruisce un condominio sempre più numeroso, ma dove le decisioni diventano sempre più impossibili, soprattutto se si moltiplicano i diritti nazionali di veto. L’approfondimento istituzionale verso il bilancio federale e il debito comune è il perno per attuare seriamente un allargamento necessario verso il sud-est balcanico e, eventualmente, fino all’Ucraina.

C’è infine un terzo cerchio che vent’anni fa avevo chiamato Trattato di Libero Scambio e Cooperazione allo Sviluppo Europa-Africa, cioè Europe and Africa Free Trade and Development Treaty. Questo è il più largo e altrettanto urgente da costruire tra Europa e Africa, secondo l’approccio avveniristico di Enrico Mattei e non secondo le troppe storie di conquiste coloniali, passate e recenti.

Questa Europa a tre cerchi è una sciocchezza, un’utopia, una visione un po’ fantasmagorica oppure è un’impellente urgenza? Per rispondere basta capire quale sia l’unica alternativa a questa… utopia. Stati Uniti ed Europa contano insieme un miliardo di persone, ma ce ne sono altre sette miliardi fuori dal mondo che chiamiamo Occidente. L’alternativa è, quindi, un’Europa decadente nel ventunesimo secolo, con gli Usa che tentano di far da soli di fronte al resto del mondo. Questo secolo diventerà allora il secolo dell’Asia, con Cina, India e Russia al seguito. Basta non fare niente e questo avverrà. Se vogliamo che questo sia un secolo di equilibrio mondiale, governato anche da Stati Uniti ed Europa come protagonisti, occorre essere presenti insieme: né l’uno, né l’altro può farcela da solo. Ciò vale soprattutto per l’Europa, che manca di una politica estera e di difesa, di campioni delle nuove tecnologie e di molto altro ancora.

(Questo post è pubblicato su AffarInternazionali)

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