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Economia

Malgrado la montagna di soldi del Pnrr, gli italiani rimangono digitalmente arretrati

Senza il pathos di una classifica generale dei ventisette Paesi UE, il secondo rapporto sullo stato del decennio digitale, pubblicato nei giorni scorsi dalla Commissione europea, ha senz’altro perso gran parte del favore mediatico che l’indice DESI aveva riscosso fino al 2022. Con grande giubilo dei governi che scalavano il ranking (magari sulla base di dati non sempre aggiornatissimi e dunque sui quali aveva magari inciso l’azione di esecutivi precedenti) e psicodrammi nazionali nel caso opposto. In realtà, questa minore attenzione rischia di far passare in secondo piano i tanti dati che il rapporto presenta e che comunque consentono di comparare lo stato di progresso verso il raggiungimento degli obiettivi al 2030, un elemento meno spettacolare ma sicuramente più strategico rispetto alle classifiche del momento.

Per l’Italia, due gli scatti in avanti notevoli, ben sopra la media europea, tra i diciassette indicatori chiave di performance monitorati. Rispetto all’anno precedente, sono aumentati rispettivamente del 15,9% e dell’11% l’accesso al fascicolo sanitario elettronico e la copertura delle reti fisse ad altissima capacità. Anche se per il primo indicatore persistono problemi di caricamento incompleto dei dati e di interoperabilità tra regioni mentre per la seconda il livello raggiunto è ancora di molto inferiore alla media UE (59,6% contro 78,8%). Vengono inoltre sottolineate le potenzialità del sistema produttivo italiano sui semiconduttori, rafforzate dagli annunci degli scorsi mesi di nuovi investimenti in Italia, in particolare a Catania e Novara.

L’elemento più critico in assoluto riguarda invece le competenze digitali di base, di cui è in possesso solo il 45,8% della popolazione, con un progresso che viaggia a passo di lumaca (pari ad appena lo 0,2% rispetto all’anno precedente), a differenza di quello medio europeo (+1,5%) e che soprattutto colloca l’Europa a un livello superiore di circa dieci punti percentuali (55,6% per l’esattezza). Quel che più preoccupa è che questo divario, a livelli ovviamente diversi, interessa grandi città e aree rurali ma soprattutto i giovani come gli anziani. Dunque con pochi margini di assorbimento naturale, in assenza di interventi decisi. Che pure potrebbero contare su una massa di risorse enorme, almeno rispetto a quella messa in campo dagli altri Paesi UE. Nella sua strategia per il decennio digitale, su un budget complessivo di 32,5 miliardi di euro, l’Italia ne prevede addirittura 9,2 per il raggiungimento del target delle competenze digitali di base, prima voce in assoluto davanti alla connettività fissa e mobile (7,4 in totale) e alla digitalizzazione dei servizi pubblici (7,1). Molte le attività previste (tra le quali la riqualificazione dei lavoratori pubblici e privati e i punti di facilitazione digitale) ma per ora i risultati sono stati in media piuttosto scarsi (almeno rispetto a questo indicatore). Una sofferenza confermata peraltro dall’andamento negativo della spesa del segmento consumer del mercato digitale (-1,7% nel 2023 rispetto all’anno precedente), certificato dal rapporto “Il digitale in Italia”, presentato a inizio settimana da Anitec-Assinform, l’associazione confindustriale che rappresenta il settore ICT in Italia. Dato solo parzialmente bilanciato dalla crescita della spesa del segmento business (+4,6%) e che ha contribuito a deprimere la quota di spesa digitale sul PIL dal 4,2% del 2021 al 3,8% del 2023. Contro ogni nozione di progresso e nonostante la montagna di soldi stanziata dal PNRR (dei 150 miliardi di euro allocati al digitale dagli Stati membri all’interno del dispositivo per la ripresa e la resilienza ben 47 sono quelli dell’Italia). Ma anche rispetto alle imprese e alla pubblica amministrazione i margini di miglioramento sono largamente insufficienti.

Se la percentuale di piccole e medie imprese con un’intensità digitale di base è superiore alla media europea (60,7% contro 57,7%), dal 2021 al 2023 non si sono registrati progressi di sorta e il target del 90% al 2030 appare agli attuali ritmi non solo irraggiungibile ma neppure lontanamente avvicinabile. Ancora più lontano (addirittura impossibile da raggiungere all’attuale passo prima del prossimo secolo in Italia come nella UE ) appare l’obiettivo di adozione dell’intelligenza artificiale (fermo al 5% nel nostro Paese nel 2023 contro il 60% atteso al 2030). Anche nei servizi della pubblica amministrazione verso consumatori e imprese, nonostante l’ampia diffusione di strumenti come lo SPID e la carta d’identità elettronica, il distacco dalla media UE non accenna a diminuire ma anzi, rispetto all’indicatore relativo ai cittadini, è ulteriormente aumentato dalla rilevazione precedente. Dati che naturalmente hanno un’origine che viene da lontano ma che devono farci riflettere sul (molto) lavoro ancora da fare e sulla capacità di usare i tanti soldi a disposizione nella maniera migliore. Anche perché molti Paesi, che per inciso hanno a disposizione molte meno risorse delle nostre, hanno dimostrato di poter fare molto meglio di noi e della stessa media UE. Non solo i soliti Paesi nordici ma anche la Spagna, che vince il confronto con il resto d’Europa su 10 indicatori su 13 e fa peggio dell’Italia solo sull’utilizzo da parte delle imprese del cloud e nella copertura del 5G. Magari lontano dai riflettori mediatici, speriamo che nei palazzi delle istituzioni ci sia qualcuno che si faccia qualche domanda e soprattutto trovi le risposte più adeguate.

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