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The European house Ambrosetti

A Meloni l'esame del sangue lo fanno gli imprenditori

A Meloni l'esame del sangue lo fanno gli imprenditori
(ansa )

Un anno fa era la mina vagante, il corpo estraneo nell'operazione di salvataggio del Paese affidata a Mario Draghi e benedetta da tutti, anche da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Della partecipazione di Giorgia Meloni al Forum Ambrosetti di Cernobbio, il circolo dell'economia e della finanza che conta, restò la sicurezza ostentata davanti alle tv che avrebbe governato insieme alla Lega. "Nel centrodestra - disse - siamo Promessi sposi". Draghi era intoccabile, mandarlo via non era contemplato neppure negli scenari più lunari, ma quelle parole erano necessarie per provare a coprire un imbarazzo evidente dentro al centrodestra. Lei fuori dal governo, a protestare contro l'estensione del green pass e la dittatura sanitaria. Salvini intento a punzecchiare il premier, ma senza arrivare al punto di mollarlo. Un disequilibrio che mal si conciliava con le amministrative alle porte e le liste da chiudere. Il selfie insieme, davanti al lago di Como, fu il tentativo di apparire uniti. Poco si ricorda dell'intervento della leader di Fratelli d'Italia, ma è da lì che bisogna partire per capire perché quest'anno andare a Cernobbio è una cosa ben diversa. 

È molto diverso non solo perché è prima nei sondaggi e candidata in pectore per palazzo Chigi. Lo è, soprattutto, perché ora tocca a lei illustrare "un ragionamento di visione", quello che rimproverava di non avere a una "politica presentista preoccupata di ottenere consenso immediato, che rinuncia a programmare". La dimensione destruens non è più utile ora che il tema non è mettersi all'opposizione del prossimo governo, ma guidarlo. Ancora di più che essere davanti a tutti nelle previsioni di voto sconsiglia aggressività, suggerendo invece prudenza per non cadere nella sparata che può mangiare voti. Chi sta lavorando all'intervento previsto domenica mattina, insieme ai leader di tutti i partiti, spiega che i toni saranno decisamente morbidi, non per questo vaghi, ma niente a che vedere con quelli utilizzati nei comizi di piazza, quando ogni tanto si infiamma, allontanandosi dall'immagine serafica che offre quando parla di conti pubblici e scostamento di bilancio. Questo, spiegano le stesse fonti, non significa che non ribadirà la sua contrarietà al reddito di cittadinanza, ma un conto è dirlo come si sta dicendo in queste ultime settimane, un altro è dire metadone di Stato, con tanto di parallelismo con il metadone dato ai tossicodipendenti, espressione che utilizzò proprio all'Ambrosetti un anno fa. 

Quella di Cernobbio, però, non è una platea che misura l'affidabilità di un premier papabile dai toni. Contano i contenuti. E quindi la parte costruens, che ora va esplicitata. Il programma da solo non basta perché dà sì un'idea del Paese che si vorrebbe costruire, ma su molte questioni c'è ancora incertezza, oltre al fatto che non tutti la pensano allo stesso modo dentro alla coalizione. E su tante cose. L'ultima in ordine di tempo è il reddito di cittadinanza che Berlusconi non vuole abolire. Un anno fa imprenditori e banchieri salutavano con entusiasmo i primi mesi del governo Draghi, il Pnrr rimesso sul binario giusto, la fine dei banchi a rotelle e l'avvio di una stagione di riforme che era necessaria non solo a risollevare il Paese dalla shock pandemico, ma anche a dargli una prospettiva di crescita stabile e duratura. Era il momento dell'asse perfetto tra gli imprenditori e i tecnici. Oggi invece tocca di nuovo alla politica, a un determinato schieramento. Bisogna gestire l'emergenza gas, a casa come in Europa. C'è quello che il presidente di Confindustria chiama "un terremoto economico", è tempo di scelte che partono dagli aiuti nazionali e arrivano fino alla possibilità di tirare su un nuovo Recovery. 

Ma veniamo ai contenuti e alla difficoltà del test per la leader di Fratelli d'Italia. Ci sono almeno due grandi questioni. La prima è il ruolo dello Stato. Cernobbio è allergica all'interventismo, professa il rito della collaborazione tra Stato e impresa, ma senza invasioni di campo né tantomeno controlli. La privatizzazione di Ita è il banco di prova immediato. Una volta al governo si ferma la vendita alla cordata formata da Certares, Air France e Delta, o si conferma la scelta di Draghi? Per Fabio Rampelli, uno dei colonnelli di Meloni, "lo Stato deve avere la maggioranza" della compagnia aerea e non è il solo a pensarla così dentro Fratelli d'Italia. Altri, però, la pensano in maniera opposta. Quello che la platea di Cernobbio chiede è una definizione precisa del confine. Un anno fa, sempre a Cernobbio, la leader di Fratelli d'Italia disse che mancavano "scelte di politica industriale". Oggi mancano le sue di scelte. Non solo su Ita, ma anche su Mps, sull'ex Ilva di Taranto, ancora sulla rete unica. Sono asset strategici che non rappresentano solamente la tutela di interessi di parte, ma anche di posti di lavoro, oltre che di un pezzo importante della ricchezza nazionale. Insomma Meloni deve spiegare quanto pesa la difesa dell'interesse nazionale, oltre a dargli un contorno, e come si bilancia con un pensiero opposto, che la leader di Fratelli d'Italia ripete sempre ai suoi collaboratori e cioè che "lo Stato non deve disturbare chi ha voglia di fare". Anche qui serve la visione, ma serve soprattutto il contenuto. Come si sostanzia e si finanzia il principio di dare incentivi a chi assume? E poi la questione va anche aggiornata in base a quello che sta accadendo oggi, con gli extracosti energetici delle imprese che hanno raggiunto quota 40 miliardi. Come si aiutano? Si sceglie la cassa integrazione pagata dallo Stato o lo Stato limita il suo sostegno? 

Da qui si arriva al tema della spesa e della programmazione, altri elementi attenzionati dalla platea di Cernobbio. Da settimane Meloni rassicura sul fatto che non sfascerà i conti pubblici, che tutto si farà gradualmente, ma il fianco debole è il Pnrr. Per chi ascolta al Forum è cruciale. È la carta che l'Italia si è potuta spendere meglio sui mercati con Draghi. Anche qui la visione di Meloni è solo abbozzata. Vuole rinegoziarlo in Europa perché quando è nato il problema c'era la pandemia, ora invece c'è la crisi energetica. Il rischio per gli imprenditori, però, è doppio. Non solo l'immagine dell'Italia che non ce la fa e cerca una scappatoia, ma anche cestinare investimenti fatti su capitoli come la transizione ecologica e il digitale. Se nel Pnrr devono entrare le infrastrutture energetiche, le altre missioni perderebbero risorse. Difficile superare il test senza quanto meno precisare la direzione di marcia. Ancora di più se si dice sì al rigassificatore nel giorno in cui il sindaco di Piombino, casacca Fratelli d'Italia, firma il parere negativo per fermare l'infrastruttura energetica.

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