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Stablecoin: cosa sono e perché se ne parla (e perché c'entra Facebook)

NurPhoto via Getty Images
NurPhoto via Getty Images 

La tecnologia blockchain è ormai una tecnologia matura, costruita per registrare scambi di “monete” digitali (crypto asset) senza un’autorità centralizzata che funga da arbitro: è la blockchain stessa, un software, che gestisce le transazioni, e elimina eventuali transazioni errate o tentativi di modificare transazioni già avvenute. Non è quindi necessario che ci sia “fiducia” fra gli utilizzatori della blockchain, dato che il software stesso è costruito per bloccare eventuali comportamenti disonesti.

La blockchain è ormai nota al grande pubblico da alcuni anni, soprattutto grazie all’ascesa di Bitcoin, un crypto asset che è passato dal valere 900 dollari ad inizio 2017 a superare i 60 000 dollari nel novembre di quest’anno. Ma cos’è il Bitcoin dal punto di vista finanziario? Sicuramente è un bene molto “volatile”, il cui valore (rispetto a valute ufficiali che hanno corso legale, come il dollaro e l’euro) cambia velocemente nel tempo. Basti pensare che dal primo al 5 dicembre di quest’anno il suo valore è passato da 57 000 dollari a poco più di 49 000 dollari, perdendo più del 15% del suo valore in 5 giorni. La storia ci insegna che questi movimenti non solo l’eccezione, ma la regola: il valore del Bitcoin cambia spesso (aumentando o diminuendo) con bruschi movimenti. Il prezzo del Bitcoin è quindi altamente volatile.

A causa dell’elevata volatilità, il Bitcoin non può (e non deve) essere considerato una moneta, ma è un bene speculativo. Cioè si comprano i Bitcoin per rivenderli, sperando in un loro apprezzamento, non certo per usarli come mezzo per comprare qualcosa. Pensiamo infatti che tutto ciò che viene prodotto nel mondo, così come i salari che i lavoratori ricevono, sono in valuta ufficiale. Quindi i prezzi dei beni sono anch’essi in valuta ufficiale. L’inadeguetezza dei Bitcoin come moneta la possiamo comprendere facendovi una semplice domanda: come vi sentireste se oggi compraste un’auto dal valore di 25 000 euro spendendo 0.5 Bitcoin, e il giorno dopo la stessa auto, sempre dal valore di 25 000 euro, valesse 0.3 Bitcoin? Bene, questo esempio ci spiega in maniera semplice perché il Bitcoin non può essere una moneta da usare per le nostre transazioni quotidiane.

Questo però non vuol dire che la tecnologia blockchain non possa essere utilizzata per effettuare transazioni legate a scambi di beni. La risposta già oggi disponibile è rappresentata dalle stablecoin.

Gli stablecoin sono crypto asset (in particolare sono token) che hanno due proprietà importanti: per prima cosa, in quanto token, e quindi asset digitali, i loro scambi sono registrati su una blockchain, esattamente come succede per gli scambi di Bitcoin. In secondo luogo, e questa è la loro principale particolarità, da cui prendono il nome, il loro valore è “ancorato” ad un asset o un bene reale, che può essere il dollaro, l’euro oppure l’oro. Un token vale un dollaro, ad esempio.

Conosciamo meglio gli stablecoin.

1. Valore ancorato ad un bene fisico

Come detto, ipotizziamo che un token valga un dollaro. Gli stablecoin nascono per rappresentare digitalmente una valuta ufficiale, o un lingotto d’oro. Ma come si riesce (se si riesce) a legare il valore di un token (che vive solo nella blockchain) a quello di un asset/bene reale, come il dollaro? Esistono principalmente tre modalità:

  1. posting di collaterale fisico: chi crea il token “posta” in una riserva (un conto corrente bancario, un deposito titoli) un dollaro (o il su equivalente in titoli finanziari a bassa rischiosità) per ogni token creato. In questo caso il dollaro fisico o i titoli finanziari fungono da garanzia (collaterale), rappresentando una riserva per garantire il valore del token.

  2. Posting di collaterale digitale: in questo caso per ogni token creato vengono congelati (cioè non sono spendibili) dei crypto asset convenzionali (come l’Ether, un asset molto simile al Bitcoin) di valore superiore al valore del token emesso (data l’alta volatilità del collaterale, l’Ether), con meccanismi di ribilanciamento automatico nel caso il valore del collaterale si avvicini pericolosamente alla parità col dollaro – intervenendo quindi per evitare che gli asset utilizzati come collaterale, a causa della forte volatilità del loro prezzo, non siano più sufficiente a garantire il valore di un dollaro per ogni token.

  3. Algoritmi: sono attive sperimentazioni dove la parità viene mantenuta (non sempre con buoni risultati) automaticamente con algoritmi che, ad esempio, creano token se il valore del token stesso in valuta ufficiale -nel nostro esempio, il dollaro- cresce, o ne distruggono se il valore scende sotto il valore di un dollaro.

Seppure tutti e tre gli approcci siano interessanti, la recente storia ci mostra che la prima modalità è quella che rende il valore del token stabile, cioè più vicino al dollaro. Si tratta del meccanismo adottato da tether che rappresenta la stablecoin di gran lunga più scambiata.

2. Tether: conosciamo lo stablecoin più famoso (ad oggi)

Tether è uno stablecoin ancorato al valore di un dollaro tramite il posting di un collaterale fisico. Con una capitalizzazione ad oggi di oltre 77 milliardi di dollari, è una delle stablecoin che ha maggiormente mostrato la capacità di mantenere il suo valore ancorato a quello del dollaro. Inoltre è di gran lunga la stablecoin più usata: basti pensare che la seconda stablecoin, USDc, ha una capitalizzazione di poco superiore a 40 miliardi di dollari.

Le transazioni di tether sono registrate su diverse blockchain, fra cui Ethereum e Tron. L’acquisto/vendita di tether può essere fatto o tramite i canali standard per l’acquisto di cripto asset (gli exchange) oppure tramite la società che gestisce la creazione di tether, Tether Limit (solo per importi elevati, e, nel caso di vendita, con commissioni non irrisorie): nel primo caso, l’exchange funge da mercato, regolando compra-vendita di token fra privati. Nel secondo caso invece la società crea nuovi token a fronte di un versamento di dollari (1 token per 1 dollaro), che vengono inseriti nelle riserve, oppure consegna all’utente dei dollari provenienti dalle riserve, a fronte della “consegna” di token che vengono distrutti (“burned”). In questo modo si ha la certezza che nelle riserve ci sia un quantitativo di dollari pari ai token in circolazione, garantendo la parità del valore fra token e dollaro. Attraverso Tether Limited è possibile quindi scambiare, ad esempio, 10 000 token con 10 000 dollari, qualunque sia il valore di 1 tether in dollari nel mercato secondario, quello degli exchange. Questa possibilità è sufficiente a stabilizzare il prezzo di tether.

Ma cosa ci insegna tether? Per prima cosa, chiediamoci perché oggi un Bitcoin vale quasi 50 000 dollari. La risposta è semplice: perché esiste una comunità che crede nel valore di questo bene digitale, e avvengono scambi fra utenti a quel prezzo. Per tether il discorso sembrerebbe invece diverso, data la presenza del collaterale fisico a garantire il valore dell’asset. Bene, dopo anni in cui Tether Limited dichiarava “Every tether is always 100% backed by our reserves”, cioè che ogni token avesse il suo dollaro corrispondente nella riserva, nel 2019 la stessa Tether Limited ha ammesso che le riserve erano sufficienti a coprire solo il 74% dei token in circolazione, cioè, semplificando, 1 token - 0.74 dollari. E cosa è successo al valore dei token al momento dell’annuncio? Nulla, restando sempre attorno al valore di un dollaro per token. La fiducia della comunità in Tether non è venuta meno, e le persone hanno continuato a scambiare sul mercato secondario 1 tether per circa 1 dollaro! Quindi tether ci insegna che le riserve sono importanti, ma il valore del token non dipende esclusivamente da esse, se esiste una comunità che crede nel valore di questo bene digitale.

Ad oggi Tether è accettato solo di rado come mezzo di pagamento su siti di vendita online: possiamo dire che Tether oggi non è un mezzo di pagamento, esattamente come non lo è il Bitcoin.

3. Stablecoin per le spese quotidiane: cosa serve e cosa manca?

Usare stablecoin per le spese quotidiane sarebbe al momento già possibile: basterebbe avere sul proprio cellulare un wallet, cioè un software, dove detenere i propri stablecoin. Come tutti i software/siti con proprie informazioni personali, sarà importante settare buone password, e utilizzare software sicuri: sono all’ordine del giorno casi di wallet inaccessibili per la perdita della password, o wallet in versione software o hardware svuotati da hacker.

Una prima criticità viene proprio dalle limitazioni delle blockchain: ad oggi, ad esempio, Bitcoin impiega in media 8 minuti per avere una transazione scritta su un blocco della blockchain e validata da tutta la rete. Se pensiamo ad una transazione fisica in un negozio, dover aspettare circa 8 minuti per essere sicuri di aver pagato e quindi ricevere la merce è un’eternità. Per questo sono allo studio blockchain più veloci, ma non a scapito della sicurezza.

Una seconda criticità è ovviamente la stabilità del token: può essere sufficiente una fiducia della comunità come nel caso di tether? Certamente no, serve ci sia una vera riserva, in cash o in titoli veramente poco (o non) rischiosi, per avere la sicurezza della reale stabilità. E quindi serve fiducia in chi gestisce la riserva finanziaria. Qui si era fortemente inserita Facebook nel 2019, con la creazione di una sua blockchain, una sua stablecoin, Libra, e un suo wallet, Calibra, per poter permettere pagamenti fra utenti del proprio social, aprendo la strada ad innumerevoli possibilità di business per l’azienda. Il progetto è stato bloccato dall’intervento del Senato degli Stati Uniti, e ha visto i dubbi di molti governatori e banche centrali. È indubbio che è stato il primo progetto che ha aperto le porte ad uno stablecoin potenzialmente capace di scalare nell’economia globale, rendendo Facebook (o meglio, la Libra Foundation, la fondazione che avrebbe gestito Libra) un pericolosissimo competitor del mondo bancario, con una totale disintermediazione dei pagamenti. Il progetto non è stato accantonato da Facebook, ma è stato ridimensionato, il suo stablecoin è stato rinominato Diem, e al momento non è ancora stato ufficialmente lanciato.

Ma è indubbio che Facebook abbia dato una forte scossa alla discussione su un nuovo modo di intendere i pagamenti: i governi hanno visto di buon occhio l’entrata in gioco dei privati nella corsa allo spazio, ma non sembrano essere dello stesso avviso rispetto a qualunque mossa possa mettere in discussione la loro sovranità nella gestione della moneta e delle politiche monetarie. E da qui è partita la discussione verso la creazione di un Euro digitale, una rappresentazione digitale dell’euro, governata dalla Banca Centrale Europea, che permetta di sfruttare le nuove tecnologie di pagamento senza cessione di sovranità, e con la sicurezza data dalla BCE, che garantirà il valore dell’Euro digitale così come fa per le banconote cartacee.

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