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Perché il Labour può avere il risultato migliore di sempre (e i Tory il peggiore)

Nel centro di Londra, nel distretto di Waterloo, c’è un moderno palazzo, pieno di uffici. Al terzo piano c’è un grande open space, con più 300 persone al lavoro, il quartier generale della campagna elettorale del Labour Party. Oggi si vota nel Regno Unito, e dopo 14 anni di dominio ininterrotto del Partito conservatore, il governo sta per cambiare. Nel 2019 i Conservatori guidati da Boris Johnson avevano ottenuto una netta vittoria sul Labour guidato da Jeremy Corbyn, ricevendo quasi 14 milioni di voti, che gli avevano permesso di eleggere 365 deputati, ben più’ dei 326 necessari per raggiungere una maggioranza assoluta alla Camera e governare da soli. (Nel sistema britannico il primo ministro non ha bisogno della fiducia della Camera dei Lord, ma solo di quella dei Comuni, eletta direttamente dai cittadini, attraverso 650 circoscrizioni uninominali).

Oggi la situazione non potrebbe essere più diversa. Il Partito conservatore ha attraversato anni di caos e impopolarità, che lo potrebbero portare alla peggior sconfitta di sempre, con i sondaggi più generosi che prospettano un risultato più che dimezzato rispetto ai 365 seggi del 2019, e altri che prevedono una catastrofe, una discesa addirittura sotto i 100, come mai era successo al partito, in nessuna elezione dalla prima in cui si era presentato, nel 1835.

Johnson si è dovuto dimettere nel 2022, sommerso da scandali, il più famoso dei quali è stato il cosiddetto “Partygate”: è emerso che lui e buona parte dell’ufficio del primo ministro, nelle fasi più dure del Covid, festeggiavano nella residenza ufficiale infrangendo le regole sul lockdown che il suo stesso governo aveva promulgato. Il mandato del suo successore, Liz Truss, è finito ancora peggio: è durata solo 45 giorni, riuscendo nell’impresa di diventare il primo ministro con il mandato più breve nella storia del Regno Unito. Appena insediata, ha annunciato una svolta thatcheriana dell’economia, tentando una radicale manovra finanziaria consistente in 45 miliardi di sterline di tagli alle tasse, soprattutto ai più ricchi, senza le necessarie coperture finanziarie, provocando una pesantissima reazione negativa da parte dei mercati finanziari, causando una crisi economica e finanziaria, oltre alla svalutazione della sterlina, che la costrinsero immediatamente alle dimissioni.

Il nuovo leader del Partito conservatore, dall’Ottobre 2022, e attuale primo ministro, è Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere (ovvero ministro dell’Economia) durante il governo di Boris Johnson. Sunak non è riuscito a risollevare le sorti dei Conservatori, che sono rimasti nettamente sotto al Labour nei sondaggi per tutto il suo mandato e hanno perso le elezioni locali e le varie elezioni supplettive che ci sono state in questo periodo. Nonostante i 20 punti percentuali di svantaggio con il Labour, Sunak ha deciso di convocare le elezioni per il 4 Luglio, anticipandole di alcuni mesi rispetto alla naturale scadenza del Parlamento.

Partiva in svantaggio, venendo considerato sì più stabile e professionale di Johnson e Truss, ma poco empatico e lontano dai problemi della gente comune (è il primo ministro più’ ricco di sempre, con un patrimonio di centinaia di milioni di sterline).

Dopo 14 anni di governo conservatore segnati dalla Brexit, da una pervasiva austerità economica e continui scandali, il sentimento pubblico nei confronti dei conservatori è di profonda ostilità. A beneficiarne è il Labour Party, guidato da Keir Starmer, favoritissimo in queste elezioni, e proiettato verso una maggioranza schiacciante. Dopo le disastrose elezioni del 2019, Starmer ha intrapreso una profonda e controversa riforma del partito, emarginando Jeremy Corbyn (che è stato allontanato dal partito e ora si è dovuto candidare come indipendente per provare a mantenere il suo seggio a Islington North) e l’ala di sinistra del partito a lui vicina, provando a dare un immagine del Labour da un lato di partito rinnovato e più moderno, ma dall’altro anche di partito molto più spostato verso il centro e pronto ad accogliere molto di quell’elettorato che nel 2019 aveva votato per i conservatori (per quanto a loro volta alcuni di quei voti tradizionalmente venissero dal Labour).

Sicuramente oggi il Labour ha una macchina elettorale professionale con uno staff grande e organizzato. Tornando in quell’ufficio di Waterloo, ho potuto incontrare molti dei capi dei vari dipartimenti in cui si articola la campagna elettorale, che presta una grande attenzione ai social media e ha strutturato una formidabile macchina di organizzazione digitale e fisica. Sono riusciti a mobilitare abbastanza volontari incaricati di bussare a più di un milione di porte, per persuadere e mobilitare il loro elettorato. Sono molto attenti al messaggio che viene dal partito e dai suoi vari rappresentanti, cercando di tenere tutti il più allineati possibile alla linea del partito nazionale e tenendo costantemente briefing con precise istruzioni su cosa dire nelle uscite mediatiche. L’attenzione a evitare a tutti i costi controversie elettorali e ad esporsi poco su politiche più progressiste, ha portato a varie accuse per il Labour di essersi spostato a destra. Starmer ha deciso di provare a rassicurare in ogni modo l’elettorato centrista e conservatore, anche promettendo di mantenere in molte sue parti le rigide politiche fiscali e migratorie dei conservatori e rimangiandosi alcune promesse più progressiste sull’ambiente e sulla lotta alla povertà che aveva fatto all’inizio del suo mandato come leader del Labour. I suoi collaboratori sostengono che questa svolta è necessaria per vincere le elezioni e dopo 14 anni di continue sconfitte non possono permettersi nessun rischio.

Ad oggi in effetti non sembrano correrne, tutti i sondaggi danno il Labour in enorme vantaggio e l’unica domanda rimasta sembra essere di quante decine o centinaia di seggi sarà grande la loro maggioranza di governo. C’è da notare che in un recente sondaggio di YouGov, il 48% dell’elettorato laburista ha affermato che li voterà per cacciare i conservatori dal governo e solo il 5% perché d’accordo con la sua proposta programmatica e addirittura solo l’1% ha indicato la leadership di Keir Starmer come ragione prevalente per votare il partito. Ciononostante, il Labour si avvia verso una quasi certa vittoria, pronto a strappare molti seggi non solo ai conservatori, ma anche in Scozia, allo Scottish National Party anch’esso in crisi tra scandali e decenni di governo locale.

La campagna elettorale è stata breve ma pare abbia contribuito ulteriormente all’implosione dei conservatori, già lacerati da anni di scandali, divisioni interne e forti tensioni con l’estrema destra del partito. Sunak ha annunciato le elezioni all’aperto, infradiciandosi sotto un diluvio, e pochi giorni dopo è stato molto criticato per aver lasciato in anticipo le celebrazioni del D-Day, per concedere un’intervista. Avvenimenti poco più che simbolici ma che hanno avuto grande risonanza mediatica nel paese.

In tutto ciò Sunak ha dovuto affrontare anche una sfida da destra: Nigel Farage, considerato il principale architetto e responsabile della Brexit è tornato alla guida del suo partito Reform, con l’obiettivo esplicito di scavalcare a destra i Conservatori e consumarli in pochi anni, magari assorbendoli, sul modello canadese in cui i conservatori locali hanno fatto la stessa fine. Per provare ad arginare questa minaccia, Sunak ha spostato il suo partito ulteriormente a destra, promettendo ulteriori forti tagli alle tasse, una sorta di leva obbligatoria per i giovani, e di continuare a provare a mandare i richiedenti asilo in Ruanda. Una politica ad oggi fallimentare, e secondo molti esperti di diritto internazionale illegale. Questa continua svolta a destra ha provocato ulteriori crepe nell’elettorato centrista, oggi orientato verso il Labour o i Liberal-democratici. Per Sunak le cose stanno andando così male che i media danno per scontate le sue dimissioni da leader del partito subito dopo le elezioni e già parlano apertamente di chi potrebbe essere il suo successore, mentre non è nemmeno certo che il Partito conservatore sopravviva nella sua forma attuale.

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