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Le Pen non è Meloni. E non si può far risorgere la Dc italiana, figuriamoci quella francese

Più di un quotidiano ha dedicato spazio - più che altro per fare ironia - al dialogo tra Marine Le Pen e il mondo democristiano francese ma anche italiano. Ammetto che la circostanza si presta all’ironia, perché i punti di partenza sono sideralmente lontani.
 
Marine Le Pen non è Giorgia Meloni. La nostra premier non ha bisogno di dialogare con il mondo democristiano: ci parla da anni, lo rappresenta. Giorgia è stata leader dei giovani di un partito antifascista di destra, quale era Alleanza nazionale; è stata ministro di Berlusconi, e in questa veste in Europa si accomodava tra i popolari; ha fondato un partito assieme a liberali e democristiani, presiedendo poi i conservatori europei, che sono parte dell’arco costituzionale europeo.
 
Le Pen non è tutto questo, è tutt’altro: è storia di radicalismi e contrapposizioni, amplificate da un diverso sistema politico in un Paese attraversato da tensioni sociali assai più forti di quelle italiane. E allora perché dialogare, da democristiani, con Le Pen e i suoi deputati? La risposta è semplice: perché siamo democristiani, il dialogo è la nostra natura, prima che il nostro metodo. Che una destra considerata estrema cerchi il dialogo culturale con la Dc è un indizio importantissimo: primo, del fatto che così estrema questa destra poi non è; secondo, che si pone il problema di una cultura di riferimento per un cammino che immagina tutt’altro che compiuto, anzi appena iniziato.
 
Quale può essere la cultura di riferimento di una destra francese che non voglia essere più sospettata di fascismo, nazionalismo e altri ‘ismi’ poco nobili? Le strade possibili sono due: quella liberal-democratica e quella cristiano-sociale. Già negli anni ottanta Gerardo Bianco ci spiegava che le due strade non sono inconciliabili: nella Dc però era vietato dirsi liberali, e fino all’avvento di Berlusconi non è stata questa l’aggettivazione del blocco conservatore. Generalmente il centrodestra, ovunque nel mondo, accentua il connotato liberale o quello popolare. In Francia è difficile pensare a una evoluzione della destra in forma di movimento ‘liberal’: quel brand è stato sequestrato dal lussuoso ibrido macroniano, e certamente la Le Pen non può pensarsi nella forma di un macronismo di destra.
 
Altro discorso vale per il pensiero cristiano-sociale, che proprio in Francia ha le radici più profonde: un nome per tutti, Maritain. In Francia la Dc era il glorioso Mrp, che Forlani definiva ‘un partito altero e razionale che obbedì alla legge per cui i partiti dc che vanno a sinistra spariscono nel giro di due elezioni’.
 
Non si può pensare di far risorgere la Dc italiana, figuriamoci quella francese, scomparsa da mezzo secolo. Ma quella cultura esiste e resiste, e - per dirla con uno degli ultimi leader dc - ‘il popolarismo è la sola cultura uscita vincente dal Novecento’. E allora perché impedire alla nuova destra di fare i conti col popolarismo? Ne parlava già venti anni fa uno degli intellettuali più ‘freschi‘ della destra italiana, Gennaro Malgieri, senza considerare le egregie cose scritte su Sturzo da un altro intellettuale di destra oggi distratto dal governo come Gennaro Sangiuliano. E poi, perché a sinistra si parla sempre di ‘contaminazione’, e a destra si pretende che esista un compartimento stagno in cui rinchiudere un avversario che deve essere sempre estremista, impresentabile e pericoloso? È una domanda che vale oltralpe e anche dalle nostre parti.
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