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Istituto Affari Internazionali

I paesi Nato si stanno armando, l'Italia meno

(a cura di Elio Calcagno)

Questo post sarà pubblicato nel settimo numero della rivista elettronica AffarInternazionali, la rivista dell’Istituto Affari Internazionali, che uscirà il prossimo 8 luglio: un mensile in formato elettronico da leggere, sfogliare, scaricare e stampare

La guerra russa all’Ucraina ha da tempo assunto un ruolo preponderante nell’agenda della Nato. Se la suddivisione dei vicinati dell’Alleanza nei tre fianchi nord, est e sud rappresenta per alcuni un costrutto artificiale e superfluo, è innegabile che da essa si possano trarre spunti d’analisi utili. Specialmente se si prende atto del fatto che nel contesto attuale i tre Core Task della Nato sono inestricabilmente legati a considerazioni geografiche. Il primo di questi, deterrenza e difesa, ha come obiettivo principale quello di dissuadere attacchi russi ai danni degli alleati ed è, dunque, specialmente rilevante nelle regioni più vicine alla Federazione russa, ovvero i fianchi nord e est dell’Alleanza. Come riconosciuto dalla Nato stessa, Mosca è già oggi un attore destabilizzante nel fianco sud: quello più vicino all’Italia e fonte di minacce spesso percepite come più immediate. Tuttavia l’invasione su larga scala dell’Ucraina ha fatto sì che i confini nord-orientali della Nato siano oggi il punto focale della postura strategica alleata.

Sebbene le forze di Mosca continuino a subire perdite impressionanti sia in termini di personale che di mezzi e armamenti, l’industria russa sta riuscendo nell’intento di aumentare la produzione soprattutto di sistemi meno avanzati, aggirando le sanzioni e affidandosi a nuovi fornitori in Paesi amici. In occidente l’output industriale in molti casi fatica ancora a decollare per ragioni legate alla moltitudine di priorità concomitanti, alla poca cooperazione tra Paesi e alla dipendenza da fornitori esteri per le materie prime. Diversi analisti, militari e funzionari hanno invece provato a prevedere entro quando la Russia riuscirà a ricostruire le proprie forze convenzionali al punto da rappresentare nuovamente una minaccia realistica per la Nato. I più pessimisti guardano al 2027, e generalmente i Paesi che si affacciano sul fianco nordorientale sono compatti nel veicolare il messaggio che il pericolo di un’aggressione russa è reale e va preso sul serio. Non a caso i nuovi piani regionali della Nato puntano a livelli di prontezza molto elevati, a oggi ancora lontani in diversi ambiti, a partire proprio dalle munizioni e dai sistemi di artiglieria. Proprio questi piani fissano dei requisiti quantitativi e qualitativi per le forze armate che sono tanto ambiziosi quanto necessari per un deterrente credibile e meno dipendente dalle forze americane. Va ricordato però che anche prima dell’invasione russa su larga scala diversi alleati, inclusi quelli più capaci fra gli europei, non riuscivano a soddisfare pienamente i vecchi requisiti Nato.

La maggior parte dei Paesi membri però ha preso atto del nuovo scenario, dedicando crescenti risorse alla prontezza operativa delle rispettive forze armate. In questo contesto i risultati sono nel complesso importanti per quel che riguarda il raggiungimento del traguardo del 2% di Pil dedicato alla difesa, nel 2024 raggiunto da ben 23 alleati (nel 2014 erano solo 3). Non sorprende che siano stati generalmente i Paesi più vicini alla Russia a fare gli sforzi più grandi: tra gli alleati più virtuosi vi sono infatti Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, ma anche Finlandia, Romania e Repubblica Ceca.

L’aumento del bilancio della difesa è principalmente dedicato a nuove acquisizioni di armamenti ed equipaggiamenti volte in parte a ripianare le scorte al netto delle donazioni all’Ucraina, e in parte a ricostruire le capacità militari dell’Alleanza dopo gli enormi tagli post-Guerra Fredda. Dal febbraio 2022 la Polonia ha firmato contratti dal valore complessivo di decine di miliardi di dollari per la fornitura di sistemi di difesa aerea, carri armati, artiglieria, munizioni e molto altro.

Anche per un piccolo Paese baltico come l’Estonia, che avverte il rischio di un attacco russo come plausibile, il senso di urgenza risulta evidente da decisioni di portata quasi epocale. Tallinn ha stimato che per raggiungere gli obiettivi dettati dai nuovi piani di difesa regionali della Nato in termini di scorte minime di munizioni per artiglieria, l’Estonia dovrà spendere solo su questo circa 1,6 miliardi di euro, ovvero 300 milioni in più rispetto all’intero bilancio difesa attuale. Anche se i vertici militari e civili estoni sono consci della sfida di reperire cifre del genere (che quanto a munizioni sarebbero significative anche in Italia nonostante un bilancio complessivo oltre venti volte superiore), continuano a trovare un largo sostegno da parte di tutta la classe politica e dell’elettorato.

I Paesi baltici sono infatti fra i gli alleati più decisi nello spingere tutta la Nato a raggiungere e superare la soglia del 2%, che è già stato definito dal vertice 2023 di Vilnius come un requisito minimo e non un tetto. Un simile risvolto vede l’Italia trovarsi sempre più isolata nel ristretto gruppo di alleati che sono ancora lontani dall’obiettivo e/o che, come nel caso italiano, non hanno un piano concreto per raggiungerlo.

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