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Istituto Affari Internazionali

Le occasioni mancate dall'Italia con la Nato

(di Alessandro Marrone e Gaia Ravazzolo)

Questo post sarà pubblicato nel settimo numero della rivista elettronica AffarInternazionali, la rivista dell’Istituto Affari Internazionali, che uscirà il prossimo 8 luglio: un mensile in formato elettronico da leggere, sfogliare, scaricare e stampare.

A ottobre, l’olandese Mark Rutte succederà al norvegese Jens Stoltenberg, che ricopre il ruolo di Segretario generale della Nato dal 2014, e resterà in carica per almeno i prossimi quattro anni. Laureato in storia ed ex dirigente di Unilever, fa parte del partito di stampo liberale conservatore VVD ed è diventato primo ministro dei Paesi Bassi nel 2010 (il più longevo del Paese). Famoso per le sue capacità negoziali e soprannominato "The Trump Whisperer", potrebbe essere un utile asso nella manica qualora Trump venga rieletto.

I predecessori di Rutte e Stoltenberg alla guida della Nato sono stati il danese Rasmussen, l’olandese de Hoop Sheffer e il britannico Robertson, a testimonianza di come il ruolo sia stato dal 1999 in poi affidato ai paesi nordici dell’Alleanza, non rispettando un criterio di rappresentanza geografica come accadeva in passato.

Roma, ancora una volta, ha perso l’occasione di presentare una propria candidatura solida. L’Italia è infatti sottorappresentata da tempo ai livelli di segretario generale (l’ultimo è stato Manlio Brosio, 1964-1971), vicesegretario generale (nessun italiano dal 2012 in poi) e segretario generale aggiunto. In tale quadro spicca, tuttavia, la nomina dell’attuale capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Cavo Dragone, a prossimo presidente del Comitato Militare dell’Alleanza. Ma occorre essere consapevoli che questa figura fornisce raccomandazioni militari a un processo decisionale saldamente in mano alle strutture civili della Nato e ai governi nazionali. Tale posizione deve essere quindi il punto di partenza per l’Italia per riottenere la carica di vicesegretario generale con un portafoglio di competenze strutturato e importante, quali ad esempio partnership o investimenti. Più in generale, il sistema-Paese deve preparare meglio le candidature per le posizioni apicali e mediane Nato, selezionando per tempo i profili più adeguati e sostenendoli in modo sistematico.

Ma questo non è l’unico punto su cui concentrarsi. Vista la posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo e le sue buone relazioni con i governi dell’area, Roma può davvero giocare un ruolo di leader sul fianco sud in sinergia con il Piano Mattei. A tal fine, la revisione del mandato dello Strategic Direction South Hub NATO di Napoli dovrebbe rafforzarne le connessioni con i centri decisionali, sia dell’International Staff che dell’International Military Staff. Al tempo stesso, occorrerebbe sostenere il rilancio in corso del ruolo italiano nell’Assemblea Parlamentare Nato, in modo da portare con più sistematicità nel dibattito interparlamentare alleato i temi prioritari per il paese.

Per quanto riguarda invece le operazioni di gestione delle crisi e di stabilizzazione, la Nato ha marginalizzato questo compito rispetto alla deterrenza e difesa collettiva. L'Italia dovrebbe quindi ottenere l’utilizzo di risorse Nato, come l'Alliance Ground Surveillance di Sigonella e gli aerei AWACS, per supportare missioni europee come Aspides nel Mar Rosso, e migliorare lo scambio di informazioni tra le operazioni alleate nel Mediterraneo, Iraq e Balcani occidentali e quelle nazionali ed europee. Similmente, i centri di eccellenza Nato per Security Force Assistance e Stability Policing presenti in Italia dovrebbero essere valorizzati a supporto di partenariati e missioni nazionali/Ue nell’area. Tale cambio di approccio, che vede la Nato in ruolo di supporto nel Mediterraneo allargato, otterrebbe risultati concreti data la postura Nato post invasione russa dell’Ucraina.

Al tempo stesso, Roma deve incidere su un'agenda Nato con priorità su Russia e Ucraina, e in misura crescente su Cina e Indo-Pacifico. È importante che l'Italia articoli una visione chiara su questi temi cruciali per la sicurezza nazionale. Un esempio è il coordinamento carente Nato-Ue sugli aiuti militari all’Ucraina, dove Roma potrebbe avere un ruolo chiave per mettere a sistema le iniziative in campo, migliorando la capacità di difesa dell’Europa e rafforzando l’industria europea del settore. Nel contesto Indo-Pacifico, il governo Meloni ha intensificato i partenariati con India e Giappone, come dimostrano le cooperazioni strategiche del 2023 e il programma Global Combat Air Programme (GCAP), e la portaerei Cavour sarà impegnata nel 2024 in esercitazioni e diplomazia navale nella regione. L’Italia ha quindi interesse nel partecipare attivamente al dialogo tra la Nato e i partner dell’Indo-Pacifico, promuovendo scambi di informazione, dialogo ed esercitazioni per istaurare collaborazioni efficaci.

Tutto ciò non può però rimanere scollegato dal raggiungimento dell’obiettivo del 2% del Pil nella difesa, che è diventato per la Nato la soglia minima di investimento per essere un alleato credibile e ascoltato. Di fronte a ben 23 Paesi che rispettano tale soglia, di cui più di una dozzina rispetta il Patto di Stabilità Ue, non farlo condanna senza alibi l’Italia alla marginalizzazione in ambito Nato. È quindi il momento del coraggio politico di rispettare gli impegni presi e ribaditi quanto a bilancio della difesa, di aggiornare in modo proattivo la propria visione rispetto all’agenda della Nato per come è e non per come si vorrebbe che fosse.

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