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Zaccagni&co, fragili come noi

L’abbiamo vista un po’ tutti la partita dell’Italia. E un po’ tutti abbiamo esultato insieme a Mattia Zaccagni. Qualcuno ironizza con il termine “lazionale”. Altri, dalla sponda del Tevere opposta commentano con un “ mai avrei pensato di esultare per un gol di Zaccagni”. Pupillo di questa Italia Croazia e trascinatore di una squadra ancora troppo fragile. Qualcosa non va in questo calcio, specchio di un paese che fatica a soddisfare le aspettative. Quando sembra aver perso le speranze ecco arrivare il guizzo. Che dimostra la scioltezza del giovane ormai più pronto a gestire l’imprevisto o un problem solving più che nello stabilire una vita equilibrata e soddisfacente. Per se stesso e per il proprio gruppo. Che riesca nel proprio lavoro. Ma si può vivere di guizzi?

L’italiano artista è sempre stato vittima dell’emotività, in cui tanti giovani si trovano a convivere con cuffie e musica alta per rimanere isolati e concentrati nel proprio mondo di ideale perfezione. Eppure dopo poco si entra in campo. Nel campo della vita. L’emozione è alta, la scossa di adrenalina, pure. E allora come mai non si riesce a volare? O semplicemente a continuare a correre sulle fasce senza ostacolarsi? La domanda sorge spontanea una volta finita la partita. Forse non si hanno più le ali. Qualche esperto di calcio a 5 ipotizza che potrebbe volerci una base più solida fornita proprio dalle piccole realtà. Una cosiddetta formazione alla base per evitare di arrivare ad essere atleti da social, ma sempre meno “giocatori di serie A”. In campo come nella vita. Quando il contorno delle vecchie generazioni non molla il colpo e discute, litiga, mette il muso e non lascia spazio. 

Contratti a termine, stage infiniti. Precariato. Vittima e carnefice dei propri umori. E non si parla di talenti. Perché la nazionale ne è piena. Chiesa, Scamacca e tanti altri dei quali è impossibile rinnegare il talento.Ma allora cos’è che non funziona? Non funziona il campo come la società, e quindi il calcio diventa una parabola di ciò che è la vita media di un giovane al giorno d’oggi. Il crollo della crescita demografica del Bel Paese ne è solo un indizio. La finta perfezione dei social. Un mondo che conta su una perfezione che poi non è in grado di restituirti nemmeno in parte.

E allora si continua a costruire su una visione positiva. ma fallace. Attenta alla dieta, ai vestiti che si indossano, alla macchina affittata in leasing. Quando il costo per curare la propria immagine è più alta degli stipendi. Per una dieta sana, equilibrata, che ti lasci tempo di rimanere giovane, perché l’immagine è tutto. Atleti in campo, ma non calciatori, non giocatori. La nazionale non parte, non gioca, solo alla fine tenta, quando pensa che tutto sia perduto. Ma si può vivere solo di “non mollare mai”? Una superficie che ti dia la speranza e la voglia di fondare una famiglia, con il vero amore. Un sogno ad occhi aperti che si scontra con una realtà ad oggi difficile da concretizzare. Perché nonostante la vittoria, quell’1 a 1 con le generazioni passate e idealizzate, strappata con i denti agli ultimi secondi, dopo averci fatto saltare dalla sedia, non basta più. Non basta a spiegare il timore delle nuove generazioni di fare il cosiddetto salto nel vuoto verso la vittoria e verso il rischio. Il salto molti infatti lo fanno verso l’estero, verso i paesi lontani, diversi sì, dove essere giovani forse è un po’ più facile. 

Burocrazia più facile, meno tasse. Stipendi più alti, lavoro non gratuito, agevolazioni. Non continue deresponsabilizzazioni dai reparti più alti delle aziende. Un calcio spezzato più che spezzatino, come si diceva una volta, quando le partite erano meno, e sempre le stesse. E allora il calciatore poteva essere anche fuori dalle righe, un cliché non sempre da prendere in considerazione come esempio di vita, ma quando entrava in campo, nel gruppo era disposto a dare tutto. Per se stesso, il gruppo e i suoi tifosi. Come nella Lazio del ‘74. Cavalli pazzi che nel campo davano tutto. E allora andavano bene le lotte politiche, l’alzare il gomito da cittadino.

Si sa , i soldi danno alla testa. Ma se in un momento storico pari solo alla crisi del ‘29, dove l’inflazione viene condizionata dal rincaro dei biglietti di Taylor Swift si riflette sulle cause che possano aver portato a tutto questo. La ricerca di distrazioni continue. Perché in campo e nella vita i giovani non corrono più, ma soprattutto, purtroppo, non decollano. O meglio lo fanno, ma per andare lontano. Per staccare, per le ferie, per prendere il primo low cost che li porti lontani per rifiatare da una vita che li ha già stancati. Dopo aver studiato una vita. La fuga dei cervelli.

Cultura in eccesso. “Ci arriveremo stanchi ai nostri primi 30 anni”, diceva un cantante famoso. Una vita che gli ha chiesto tanto e non è sempre stata in grado e capace di ricambiare. La richiesta ancora eccessiva delle società, la continua competizione, lo stimolo alla creatività, l’attenzione agli equilibri con i datori di lavoro, l’impegno eccessivo quasi mai finalizzato ad un riscontro economico degno delle aspettative. E allora si punta a sopravvivere nel momento presente. Che non è poi una vita ma un the Truman show. La competizione costante, i malumori, la richiesta continua di formazione. E ogni giorno si perde un sorriso in più perché le generazioni dei nuovi giovani scappano dall’Italia. Ancora. E noi stiamo ancora attendendo i nostri nuovi piccoli eroi. 

Sperando che arrivi un guizzo, magari dalla politica, a capovolger le sorti di un sistema ancora troppo fallace che ci ha tolto anche pane et circenses, ma all’ultimo minuto, per fortuna, ci fa ancora esultare! 

 

 

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