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Cos'è il cripto-asset

Cos'è il cripto-asset

(a cura di Angelo De Mattia, Analista economico, già Direttore Centrale della Banca d'Italia)

Sono almeno ventimila le forme di criptovalute, meglio definite come cripto asset o cripto attività (rappresentazioni digitali fondate su una tecnologia a “registro distribuito”) oggi “minate” a livello internazionale: basate, cioè, su un registro che prevede l’archiviazione delle operazioni su “blocchi” autonomi senza un’unità centrale e la cui principale applicazione è la blockchain. Non si può considerarle valute o monete: la definizione su cui molti convergono – pur non mancando tesi che le considerano indefinibili o, addirittura, strumenti ai limiti se non oltre la liceità, a cominciare dalla sparificazione al gioco d’azzardo – è appunto quella di cripto asset. Si può dire che sono strumenti, diversi per composizione e configurazione giuridica, che possono essere utilizzati per transazioni crittografiche. Ogni quattro anni è previsto l’halving, il dimezzamento della ricompensa per coloro, i miners, che creano, in particolare, i Bitcoin, con la conseguenza di ridurre il numero di tali strumenti in circolazione. Oggi, il valore di uno dei principali di questi asset, il più noto Bitcoin, si aggira intorno ai 60 mila euro.

Cripto-asset: regolamenti ancora incompleti e poco trasparenti

Tra gli altri tipi di cripto si distinguono gli stablecoin, il cui valore è collegato a quello di un bene stabile, che può essere l’oro o una valuta nazionale, in particolare il dollaro o l’euro. Non sono mancati, in questi ultimi tempi, i caveat delle autorità competenti sui rischi dell’impiego del risparmio in tali strumenti, a causa della loro volatilità e per la mancanza di un’organica regolamentazione, affrontata finora solo limitatamente ad alcuni aspetti, quali quelli fiscali (in Italia nella legge di bilancio del 2023) o a livello europeo con il Regolamento MiCA, che entra progressivamente in vigore con la tappa finale al termine di quest’anno. Esso disciplina alcune responsabilità degli operatori – a cominciare dai requisiti per l’offerta al pubblico e l’ammissione alla negoziazione, in cripto attività – e il potere delle autorità competenti in materia di credito e risparmio di imporre restrizioni all’emissione di tali strumenti. La finalità è quella di operare per proteggere, per quanto possibile, il risparmiatore-investitore e prevenire o contrastare operazioni di riciclaggio con il ricorso alle cripto. 

Siamo ancora, però, a una disciplina e supervisione parziali. Naturalmente, la questione principale – sia per i controlli, sia, prima ancora, per la trasparenza – riguarda la possibilità per il supervisore di entrare nei suddetti blocchi. Ciò pone il problema, non facile da affrontare, della conoscenza delle tecnologie impiegate: profili finanziari e tecnologici sono fondamentali se si ambisce ad avviare un percorso di trasparenza. In effetti, è arduo parlare in questo campo di visibilità. Tuttavia, se si considera l’investitore – il quale, però, deve essere consapevole dei rischi connessi – si nota che la regolamentazione sta progredendo oltre l’ambito della sola moral suasion. Non si può, però, trascurare il fatto che queste attività possono oltrepassare i confini nazionali o anche europei, rendendo dunque necessari regole e controlli anche a livello globale. Pur  partendo dal presupposto che si tratti di un investimento del risparmio ben lontano da quelli che conosciamo, regolato e controllato dalle autorità coinvolgendo l’operatività di banche e intermediari finanziari, sarebbe eccessivo immaginare unicamente l’applicazione del principio del caveat emptor. Quanto meno per gli impatti che questi investimenti potrebbero causare, anche sulla gestione della politica monetaria. 

Siamo, tuttavia, allo statu nascenti della regolamentazione e supervisione, ancora non organiche e ben lontane dal tipo di norme e controlli sull’attività bancaria e finanziaria. Ovviamente, bisogna tener conto del carattere internazionale di questa operatività, in grado di superare i confini statali e continentali, e della necessità del supervisore di poter entrare – cosa non facile – nelle tecnologie impiegate per l’emissione delle cripto ai fini dell’esercizio di una vera vigilanza. Dato il carattere globale del fenomeno, dovrebbero essere il G7 e il G20 a dettare criteri e vincoli tramite il Fondo monetario internazionale e il Financial stability Board. 

Il futuro dell’eurozona: l’euro digitale?

Altra cosa è l’emissione in forma digitale di banconote di Banche centrali. È il caso dell’euro digitale, il cui progetto è arrivato nell’Europarlamento ma sarà valutato solo nella prossima legislatura. In questo caso si tratta di una vera moneta, non di un generico asset. È difficile, tuttavia, ritenere che possa avere potere liberatorio come la banconota. Ciò potrà avvenire solo se i soggetti condividono che il rapporto – del dare e dell’avere, in ipotesi – venga regolato con la moneta digitale: per estinguere un debito o fronteggiare un caso di mora credendi non si può fare ricorso all’euro digitale senza l’accordo della parte interessata, a differenza di quel che può accadere con le banconote. 

I problemi non sono solo strettamente tecnici e tecnologici, ma anche, e prima ancora, giuridici e applicativi. Complesso è il rapporto con le banche ordinarie se, come previsto, i conti per poter emettere su di essi l’euro digitale saranno detenuti dalla Bce. Per prevenire il rischio di una disintermediazione degli istituti di credito, si ipotizza che potranno essere introdotti limiti all’ammontare degli euro nella disponibilità di ciascun cittadino. Questo punto è cruciale e risponde all’affermazione ripetuta dalla Bce secondo la quale l’euro digitale non sostituisce quello cartaceo ma si affianca ad esso. I vantaggi di tale nuova forma di mezzo di pagamento sono numerosi e stranoti (accanto ai rischi citati). 

Non secondaria è anche l’eventualità, che si è inteso prevenire, di un’egemonizzazione da parte di altre monete digitali che siano entrate o stiano per entrare nel mercato (si pensi alla Cina). Anche in questo caso, i problemi applicativi che dovranno essere risolti non sono da meno. Non si è voluto, almeno finora, cogliere questa circostanza per riformare i rapporti tra politica monetaria e sistema dei pagamenti con la relativa sorveglianza, come proposto con studi rigorosi da Paolo Savona, presidente della Consob. Bisogna, tuttavia, essere convinti che, se gli scogli verranno superati e se si avvierà una più attenta valutazione delle possibilità di una revisione, l’euro digitale e i cripto asset insieme, benché diversi, potrebbero rappresentare un’innovazione storica – anche nella configurazione di una Banca centrale – che segna un traguardo dal quale partire per ulteriori avanzamenti. 

Naturalmente, la digitalizzazione dovrà essere sostenuta da netti miglioramenti delle politiche economiche e di finanza pubblica. Siamo con essa all’epifenomeno. Dobbiamo, quindi, sempre tornare ai fondamentali e ai rapporti tra politica economica e di finanza pubblica, politica monetaria e vigilanza nelle sue diverse forme. Siamo oltre la cashless society e ciò richiede che sia saldo il governo delle trasformazioni, in tutti gli aspetti.

(Questo post è apparso già sul sito di Affari Internazionali)

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